SEMBRAVA IMPOSSIBILE!

L’INIZIO. Sono nata con la voglia di scrivere, lo so per certo. A quattro anni ebbi la mia prima esperienza con la carta e la penna. Fu qualcosa di meravigliosamente emozionante. Imitavo mio fratello più grande. Diversi psicologi e studiosi di comportamenti umani lo definiscono un comportamento normale. Imitai mio fratello in tante cose tanto che a un certo punto dovetti staccarmi perché avevo le mie esperienze da fare. In adolescenza ero confusa. Come tutti, certo. Non sapevo chi volevo essere perché non sapevo nemmeno ciò che ero in quel momento della mia vita; la classica crisi adolescenziale marcata da un amore per le tragedie e una spiccata emotività. Cambiai strada diverse volte. Ben presto però realizzai che l’unica cosa che mi creava sollievo erano i miei momenti di isolamento con carta e penna in mano. Se li cercassi, probabilmente, conterei centinaia di quaderni con i miei pensieri impressi. Purtroppo la scarsa autostima, un buon numero di bulli e la mia espressività mi hanno allontanata spesso dalla penna nell’arco della mia vita. Ne ho sofferto particolarmente. Ricordo anche il giorno esatto in cui decisi che la mia vita doveva cambiare. Il 1° agosto del 2016, era un lunedì. L’idea in realtà era già nell’aria, mi ero licenziata da un’azienda che non mi dava soddisfazioni. Ero frustrata. Stavo mandando a rotoli qualsiasi rapporto dentro e fuori l’ambiente di lavoro. Non ero felice. Mi ero fermata di nuovo con gli esami universitari. Quel lunedì, mentre ero in vacanza con il mio fidanzato affrontai un discorso con dei parenti ai quali raccontai il mio cambiamento e la scelta di lasciare ciò che stavo facendo. Era perché avevo rinunciato a così tanti sogni che non sapevo se avevo sognato realmente o se era solo un film che avevo visto in televisione (quelle poche volte che la scatola nera riesce a catturare la mia attenzione). Ero triste, ma non sapendo ancora provare quel sentimento perché per anni lo avevo represso, insieme alla rabbia, mi venne un attacco di ansia e mi misi a scrivere sul mio quadernetto tutto ciò che mi passasse per la testa.

LA SVOLTA. Anche se non avevo più un lavoro e non sapevo cosa avrei trovato lungo la mia strada, realizzai felicemente che finalmente un po’ di chiarezza nella testa ce l’avevo: sapevo esattamente cosa non volevo. Non volevo più essere quella persona che per 26 anni si era mostrata. “Giù la maschera”. Era finito tutto. Non volevo più fingere di essere felice in un vestito che non era il mio. Accettai il compromesso di non poter essere amata da tutti.

CORAGGIO. Mi ricordo ancora il giorno in cui inviai quei curriculum vitae alle redazioni a me vicine. Lo feci con così tanto entusiasmo che quando il mattino dopo ricevetti una telefonata pensavo fosse stata la forza della mia volontà ad aver attratto quella fortuna. Andai al colloquio sapendo i miei punti critici: avevo scritto in passato ma non per un giornale che trattasse cronaca, politica e territorio. Non mi sentivo all’altezza ma avevo una grandissima voglia di imparare. Andò bene, mi provarono e mi tennero come collaboratrice. Iniziò così uno dei percorsi più significativi della mia vita fino ad oggi.

ESPERIENZA. Il giornalismo è un mondo veramente difficile. A volte sembra di essere in un’arena a combattere per la vita. Assalti alla notizia, spintoni, segreti, risate e promesse. Nei primi mesi ricordo di aver visto qualsiasi cosa una mente umana possa immaginare. Ciò che non mi aspettavo però era la superficialità nel trattare alcuni argomenti e ne trovo molta anche oggi. Non è importante cosa esca sulla carta stampata, conta solo che sia abbastanza efficace il titolo. Probabilmente saranno in pochi a leggere l’articolo integrale. Le persone si soffermano spesso sul titolo e il sottotitolo. Non vanno oltre, non leggono le prime dieci righe che racchiudono la notizia vera e propria, oltre alle cinque “W” che un giornalista con cui ho lavorato mi ha ripetuto spesso. La vera informazione, quella pura, è paralizzata in un letto nell’attesa che qualcuno la aiuti a salire sul tappeto per imparare di nuovo a camminare. Tutto era bellissimo anche se a volte la mia ansia non aiutava. Ho diretto interviste con la tachicardia data dalla paura che il mio interlocutore potesse non prendere sul serio ciò che stavo facendo. La paura adolescenziale di essere derisa, tornava ogni volta. Non mi sentivo all’altezza. Continuai a scrivere comunque perché per la prima volta stavo facendo qualcosa che mi piaceva sul serio. Non importava l’ansia da orologio o la paura di non essere abbastanza conosciuta, io ero ciò che scrivevo e la gente aveva iniziato a leggermi davvero, aveva iniziato a fermarmi per strada e, cosa ancora più importante, aveva iniziato ad emozionarsi con le mie parole. Avevano iniziato a pensare a me come “la giornalista del paese”, con orgoglio. Ma quello che sembrava essere l’arrivo, in realtà si rivelò la vera partenza. Contornata da stima e anche da qualche persone che mi disprezzava nonostante non avesse letto i miei articoli. Iniziai la salita. Sono un’amante delle passeggiate in montagna, anche se negli ultimi anni sono diventata pigra e spesso mi lamento durante i primi quarantacinque minuti di cammino. Poi inizio a godermi il paesaggio e gli ostacoli o i percorsi più impegnativi diventano parte di un percorso meraviglioso: il mio. Un percorso che non ha una meta precisa. Ecco cos’è ora davvero la mia vita. Una giornata in montagna tra difficoltà da affrontare, paesaggi mozzafiato e aria pulita.

DELUSIONE. Sono felice di aver intrapreso questa strada e sarei felice anche se un giorno dovessi riporre la penna nel cassetto per sempre, anche se non lo credo possibile, perché almeno per una volta ho puntato tutto su me stessa. Quello che non calcolai all’inizio, però erano le delusioni che arrivarono come una doccia gelida. Non sempre ciò che scrivo viene apprezzato. Con Facebook, Twitter, Instagram e tutti i canali di comunicazione esistenti, l’opinione pubblica ha un eco pazzesco. Tutti possono commentare, tutti si sentono esperti e tutti vogliono far valere il proprio parere. Qualche volta è capitato che la realtà dei fatti non venisse accettata e mi censurassero; altre volte cercarono di contrastarmi e umiliarmi pubblicamente. Inizialmente, carica della mia voglia di farmi valere e battermi per far comprendere la verità alle persone, con molti parlai per ore, inutilmente. Poi capii che se non erano stati mandati per infastidirmi da chi non poteva contrastarmi di persona, perché era il soggetto fallace, erano solo persone che non apprezzano i giornalisti in generale. Le prime volte ricordo di aver pianto e di essermi arrabbiata così tanto da farmi venire il mal di stomaco. Poi capii che non c’era nulla da fare contro l’ignoranza cronica che i social stanno alimentando.

RIPRESA. Ho sofferto per una buona fetta degli ultimi mesi. A volte per essere stata incompresa, altre per la paura di non rimanere in piedi. Poi una mattina mi sono svegliata e nonostante il mio umore fosse arrivato sotto le fondamenta di casa, accesi il computer e iniziai a scrivere. Dopo le prime quaranta righe mi ero finalmente calmata. Allora capii che la mia vita aveva un senso perché ho finalmente compreso quali tranquillanti assumere in momenti di crisi: uno schermo luminoso e una tastiera. Tanto le critiche arriverebbero lo stesso; che non si è perfetti lo sanno tutti, che la gente sia annoiata a tal punto da ferire gli altri per sentirsi viva, è stata una scoperta sconcertante.

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